Federico Gavazzi

Da alcuni anni l’aspetto più originale della ricerca artistica di Liz Gehrer è rappresentato dalle griglie di Vernetzt – Verstrickt (Connesso – coinvolto nella rete). Si tratta di grate di metallo elettrosaldato sulle quali sono incollate delle sagome antropomorfe in cartone. Liz rimane un’artista che lavora prevalentemente sulla figura umana, perché è l’uomo il centro assoluto del suo interesse. La figura è resa con tratti essenziali e primitivi, secondo i canoni dell’Espressionismo, che vede in primitivismo e deformazione i suoi due presupposti stilistici fondamentali. Il corpo si allunga e i dettagli scompaiono fino a creare una presenza scarna ed emaciata. Appaiono le striature della lavorazione della carta, l’ondulatura del cartone, le pieghe e gli strappi inferti dall’artista. Tutti questi caratteri tornano nelle sculture a tutto tondo, figure singole o in gruppi, come in Nähe III (Vicino III) o Aus der Nähe (Da vicino), in perenne sospensione tra vicinanza e incomunicabilità, silenzio e stasi. Raramente sono realizzate in bronzo: più spesso il materiale è ancora una volta il cartone incollato, sul quale si possono aggiungere inserti di filo di ferro e filo spinato.

In Vernetzt – Verstrickt le figure si aggrappano alle grate come resti di alghe alle reti di un pescatore, come spoglie umane sopravvissute a chissà quale cataclisma. Non a caso la poetica della traccia, della memoria, della registrazione del cambiamento, qui presente, ricorre in tutta l’arte di Liz Gehrer e rappresenta uno dei temi di ricerca più affrontati (basta pensare anche alla stratificazione di carta e foto nella serie Mitsehen II). Le grate evocano le sbarre di una prigione o un possibile orribile strumento di tortura, ma sono anche il necessario sostegno e l’unica possibilità di relazione tra i soggetti. La durezza del metallo, intelligentemente lasciato arrugginire, contrasta con la fragilità della carta, anche se questa è lavorata fino ad assumere quasi l’aspetto del bronzo: così l’apparente residuo di forza e resistenza è un’illusione che lascia il posto alla reale debolezza dell’essere di fronte all’ambiente e alle relazioni con gli altri. Le spoglie umane possono evocare anche le pelli di serpente lasciate ad essiccare: il corpo si riduce all’epidermide che, non dimentichiamolo, è il limite fisico dell’ente-uomo e il primo e principale luogo del passaggio di sensazioni e quindi di comunicazione con il mondo; prova tangibile dell’esserci.

L’installazione ambientale presentata alla Fondazione Geiger radicalizza e complica questo aspetto: la ripetizione del motivo della grata mette in relazione più figure, crea un universo di connessioni, dinamizza e crea giochi ritmici. Tuttavia l’opera è interessante soprattutto perché assume la conformazione di un labirinto, luogo archetipico in grado di esprimere desideri inconsci, nel quale si entra per perdersi, evadendo dal controllo assillante della ragione, per poi ritrovarsi. Percorrerlo equivale a una sorta di rito d’iniziazione. Fin dal mito greco, il labirinto è il luogo simbolico che segna lo spartiacque tra kosmos e caos; vi si fronteggiano il logos (il filo d’Arianna) e le forze irrazionali di eros-thanatos (Minotauro); Teseo è l’uomo di fronte alla complessità-dualità della propria esistenza. Il visitatore che muove nel percorso predisposto qui dall’artista, che entra fisicamente in quest’allegoria delle relazioni umane, non può esimersi dal riflettere sull’esistenza.

 

Federico Gavazzi, collaboratore scientifico della Fondazione Culturale Hermann Geiger a Cecina (LI), nel catalogo in occasione della mostra 2011 di Liz Gehrer „L’uomo, fra influssi e cambiamenti“ alla Sala esposizioni, Fondazione Geiger, a Cecina